
Enogastronomia
La cucina marchigiana è una gastronomia di transizione fra meridione e settentrione d'Italia, entroterra appenninico e litoranea adriatica.
Non volendo fare un trattato di cucina, ci limitiamo a segnalare alcuni prodotti tipici della provincia di Ancona.
Analogamente per i vini, fra gli oltre 20 DOC e DOCG della Regione Marche, segnaliamo soltanto alcune della tipicità della valle del fiume Esino.
​
Per approfondimenti vedere www.turismo.marche.it.
​
ANTIPASTI E PRIMI PIATTI
Crescia
Il nome di crescia indica alcuni tipi di focaccia diffusi nelle regioni Marche ed Umbria. La crescia ha probabilmente un'ascendenza comune alla piadina romagnola, da cercare nel pane in uso presso l'esercito bizantino, di stanza per secoli in Romagna, nel nord delle Marche (Pentapoli).
Nella provincia di Ancona, la crescia si prepara con la stessa pasta del pane, ed è in genere cotta alla griglia, o, in una versione più tradizionale, sotto la brace.
Si mangia di solito "co' le foje", cioè con erbe di campo, ma la si può accostare anche a salumi come lonza, salame e prosciutto.
In alcuni ristoranti viene servita in sostituzione del pane.


Cresciole fritte
Nella valle dell’Esino, una variante della crescia sono le cresciole.
Sono fatte con gli avanzi della polenta oppure con la pasta di pane già lievitata.
In piccole sfoglie sono poi fritte nello strutto e scolate su carta paglia.
Si mangiano calde, croccanti, profumate così al naturale, con l’aggiunta di zucchero o con l’aggiunta verdure cotte e salumi.
Pizza con i grasselli
La pizza con i grasselli è una specialità tipica marchigiana, dal sapore unico ed inconfondibile. In pratica una pizza classica con l’aggiunta di grasselli (o ciccioli) che sono quello che rimane del grasso di maiale una volta che è stato sciolto e se ne è ottenuto lo strutto.
E’ottima come sostituto del pane e per essere farcita con salumi tipici.


I Vincisgrassi
I Vincisgrassi sono una ricetta tipica regionale e si dice siano state preparati in onore del generale austriaco Windisch Graetz che si era fatto valere nella difesa della città di Ancona contro le truppe napoleoniche nel 1799.
Questo gustoso primo piatto è una variante delle lasagne al forno, ma molto più rustico e tradizionale: sostanzialmente, per la preparazione del piatto, in sostituzione della carne bovina, in tutto o in parte, vengono impiegate rigaglie di pollo e carne di maiale.
E’ considerato il piatto tradizionale della festa e quindi viene preparato nelle ricorrenze più importanti dell’anno.
Cicerchia di Serra de’ Conti (Presidio Slow Food)
​
Nel secolo precedente la cicerchia era un legume molto diffuso nelle Marche. Si seminava in primavera tra il granoturco assieme ai fagioli e ai ceci e si raccoglieva ad agosto.
La coltivazione di tale legume esiste tutt’ora nella zona di Serra d’Conti in una particolare varietà minuta e spigolosa, con colorazioni che vanno dal grigio al marrone chiaro maculato.
La cicerchia è ingrediente particolarmente versatile: ottima in zuppe e minestre, ma anche cucinata in purea o servita come contorno dello zampone. Con la farina di cicerchie, inoltre, si preparano maltagliati e pappardelle.
​




I piatti della trebbiatura
​
Quando la trebbiatura veniva fatta nelle aie dei contadini, con l’aiuto dei vicini che prestavano il loro aiuto a buon rendere, vi era la necessità di far mangiare, contemporaneamente e in maniera sostanziosa, decine di persone.
La donne di casa si preparavano a tale evento, che doveva essere anche un momento di festa, con la preparazione di piatti tradizionali.
Oggi alcune di queste pietanze si possono trovare nei ristoranti, altre solo in occasione di simulazioni storiche e di sagre paesane.
Il primo piatto consisteva in un piatto di pasta corta industriale al sugo (detti i “maccherù del batte”).
Si iniziava al mattino presto facendo soffriggere un battuto di grasso e magro insieme a carota, sedano e cipolla ridotti quasi in poltiglia. Un po’ per volta, a seconda del tempo di cottura di ogni pezzo, univano le rigaglie e i pezzi di pollo, di papera o di oca, aggiustavano di sale e pepe, coprivano di acqua e mescolavano con della conserva di pomodoro.
Alla fine della cottura, che durava ore, la carne veniva tagliuzzata ed il composto così ottenuto, denso e nutriente, veniva utilizzato per il condimento della pasta.
Per la preparazione dei secondi piatti (arrosti e porchette) venivano decimati quasi tutti gli animali da cortile: in special modo conigli, papere ed oche.
La carne veniva cotta nel grande forno a legna, presente in tutte le case coloniche per la cottura del pane.
Scaldare il forno per l’arrosto era quasi un’arte: utilizzare la legna appropriata, scaldarlo alla temperature ideale, pulirlo dalla cenere, infornare la carne e sigillare il tutto fino alla fine della cottura. Da questa tradizione è nata la classica oca al forno ed il rinomato coniglio in porchetta alla marchigiana.
Ai lavoranti nel giorno della trebbiatura venivano serviti dolci tipici, come maritozzi e ciambellani, preparati nei giorni precedenti ed annacquati con vino verdicchio fresco di cantina, acqua fresca di pozzo e caffè corretto all’anice.
SECONDI PIATTI E CONTORNI
Coniglio in porchetta
​
Secondo tipico assai gustoso, viene preparato, a seconda delle zone, in differenti versioni, tutte estremamente gradevoli e ricche di sapore.
Nella zona di Jesi il coniglio in porchetta viene cucinato con finocchio selvatico, aglio, cotiche, carne macinata, pancetta , salame, fegato ed interiora del coniglio, sale, pepe.


Crema fritta
​
La crema fritta è una preparazione tradizionale che viene servita sia come antipasto o contorno sia come dessert.
La crema marchigiana, che prevede la preparazione di una crema pasticcera che viene fatta rassodare per poi essere impanata e fritta, viene gustata insieme ad un fritto misto composto di olive ascolane, verdura e carne fritta.
E’ fatta con latte, uova, zucchero, farina, limoni, vaniglia, pangrattato e olio di semi.
SALUMI
La storia dei salumi marchigiani è legata alla famiglia mezzadrile, che usava per alimentarsi quasi tutte le parti del maiale.
Molta attenzione veniva posta nell'alimentazione dell’animale che si allevava con ghiande e pastoni. Tale aspetto è tuttora particolarmente curato e ciò si riflette molto positivamente sulla qualità dei salumi.
La macellazione avveniva d’inverno, quando scarseggiava il cibo proveniente dalle altre attività rurali e le basse temperature consentivano la conservazione delle carni. In alcune zone è ancora viva la tradizione, autorizzata dalle autorità sanitarie, di chiamare il norcino perché macelli il maiale tra le mura domestiche.
Particolarmente tipici nelle nostre zone sono i prodotti di seguito descritti.
Il Ciauscolo
​
Insaccato spalmabile, il ciauscolo ha la particolarità di una forte percentuale di grasso nel suo impasto di carne, impasto sottoposto ad una macinatura molto fine.
La sua consistenza morbida lo fa risultare cedevole al tatto. Al taglio la fetta si presenta di colore roseo, uniforme ed omogenea, esente da frazioni rancide. Il profumo è delicato, aromatico, tipico, deciso e speziato e al gusto risulta sapido e delicato, mai acido.
La denominazione di ciauscolo da diversi anni ha ottenuto il marchio I.G.P. e per fregiarsi di tale marchio devono essere rispettati rigidi criteri di produzione, in relazione alla qualità del suino, alle modalità di macellazione, alle qualità e quantità dei tagli di carne ed infine alla stagionatura.


Il Salame di Fabriano (Presidio Slow Food)
​
Il Salame di Fabriano, che rientra nella tipologia dei salami lardellati, ha una origine molto antica, risalente al XVII secolo.
In una lettera del 1881, Garibaldi, da Caprera, ringraziava per l’omaggio di un composto di carne suina interamente magra, tolti cioè grasso e nervi, pestato sottilissimamente, con l’aggiunta di centoventi lardelli, di cui ventiquattro a forma di dadi, condito con sale e pepe nero e insaccato nel budello gentile, cioè il budello dello stesso maiale.
Coppa Marchigiana
​
La coppa marchigiana, chiamata anche coppa di testa, è un salume cotto che per il tipo di carni utilizzate nella preparazione, viene considerato un insaccato povero.
La coppa si produce a partire dallo spolpo della testa del maiale, della sua lingua, delle cartilagini auricolari e di altre parti meno nobili del suino. Viene aromatizzata con l'aggiunta di pistacchi, cannella o noce moscata, arance e limoni grattugiati o a pezzi.
Generalmente viene prodotta nei periodi freddi dell'anno, dopo la cottura viene raffreddata sotto pressa e non necessita di stagionatura.
Al taglio si presenta di colore rosato o grigiastro (a seconda del tempo di cottura), con nervature bianche che testimoniano la presenza delle parti cartilaginee delle orecchie. Il profumo è speziato e il sapore è fortemente aromatico.


Salsiccia di fegato
​
La salsiccia di fegato è un altro interessante e tradizionale insaccato, morbido come il ciauscolo.
Qui l’impasto è costituito da fegato e magro di maiale (in proporzioni varie a seconda delle zone), poco lardo, condito con sale e pepe, aromatizzato con buccia d’arancia grattugiata, poco aglio e noce moscata, tritato e insaccato nel budello naturale.
Una sorta di paté de fois dei poveri, dal gusto dolce-salato molto marcato in cui si percepisce netta la dolce pastosità del fegato.
la salsiccia di fegato viene stagionata poco tempo e consumata fresca spalmata su fette di pane tostato.
Se lasciata per un periodo di un mese a maturare, il sapore e l’aroma diventano più evidenti.
È ottima anche cotta fresca alla griglia.
I Ciarimboli
​
Tipico, quasi introvabile salume della valle dell'Esino, il ciarimbolo fa parte della grande famiglia delle interiora conservate.
Questa prelibatezza si ottiene togliendo la membrana esterna che ricopre e protegge il budello: una sorta di guaina serica che porta attaccate delle vescicole di grasso.
La membrana viene conciata con sale, pepe aglio e rosmarino, lasciata insaporire per 24 ore, poi messe ad asciugare accanto al focolare, non a diretto contatto col fuoco.
Tenuti al fresco i ciarimboli si conservano poche settimane.
Si gustano cotti al fuoco leggero sulla brace finché il grasso non diventa trasparente; a questo punto vengono schiacciati tra due fette di pane tostato che assorbe l'unto e si insaporiscono con gli aromi della concia.
La produzione di ciarimboli da un maiale di media stazza è di circa 100-150 grammi, talmente bassa da giustificarne il prezzo molto elevato.

I PIATTI DEI PESCATORI
Brodetto di pesce all'anconetana
​
Il brodetto di pesce è uno dei piatti simbolo della cucina marinara dell' Adriatico, in particolare marchigiana, nato come piatto povero dei pescatori.
Utilizza molte qualità di pesce, almeno nove/dieci, variabili a seconda della stagione. Di solito si utilizzano seppie, triglie, sogliole, palombo, rospo, pannocchie, scorfano, merluzzo, frutti di mare, calamari, razze, gallinelle, vongole, granchi e cozze.
La difficoltà del piatto è nella corretta tempistica di immissione del pesce nel tegame in quanto, trattandosi di pesci di diversa consistenza, per ottenere una corretta cottura, occorre immetterli in tempi diversi per evitare che qualche pesce rimanga non cotto accanto ad altri sfatti.
A differenza di altre note zuppe italiane, questa si presenta molto densa, solitamente servita in piatti fondi con fette di pane tostato.


Stoccafisso all'anconetana
​
Lo stoccafisso all’anconetana è sicuramente uno dei piatti tipici di Ancona, se non addirittura il suo simbolo gastronomico.
E’ caratterizzato da una lunghissima cottura, dalla presenza di patate in pezzi grossi e da una grande abbondanza di vino ed olio di frantoio.
Viene cucinato con stoccafisso già bagnato di prima qualità, acciughe lavate e dissalate, coste di sedano verde, cipolla, carote, rosmarino, capperi dissalati, vino Verdicchio dei Castelli di Jesi, peperoncino (facoltativo), olive nere, pomodori maturi a grappolo, patate, olio extra vergine di oliva, sale.
​
Sardoncini a scottadito
​
I sardoncini scottadito sono un ottimo piatto di pesce che si può gustare lungo tutto il litorale marchigiano.
Questa ricetta a base di sardoncini è davvero molto gustosa: si mangiano con le mani e bollenti, da qui il nome di sardoncini a scottadito. Vanno accompagnati da vino bianco frizzantino, fresco, oltre che da un'insalatina, un mix di insalata e pomodori fresco e leggero.
I sardoncini scottadito si mangiano solitamente d'estate, anche perché vanno cotti alla griglia e sono perfetti per una cena o un aperitivo in riva al mare.
​


Mosciolo selvatico di Portonovo (Presidio Slow Food)
​
Con il nome di Mosciolo si intende il mitilo (cozza) pescato nella zona di Portonovo di Ancona, nel tratto di mare che va da Pietralacroce ai Sassi Neri di Sirolo. Il mosciolo, dal colore nero violaceo all’esterno e madreperlaceo all’interno, ha una conchiglia ovolinata, allungata e schiacciata nella parte opposta al bisso con il quale si attacca agli scogli.
Caratteristica subito evidente e la ricchezza di concrezioni che lo distinguono dalla cozza di allevamento ed ovviamente il tipico profumo di mare.
Il mosciolo si consuma essenzialmente d’estate, quale protagonista di alcune ricette tipiche offerte dai ristoranti di Portonovo e della Riviera del Conero: spaghetti con i moscioli, moscioli alla marinara e soprattutto moscioli arrosto.
​
DOLCI
Scroccafusi
​
Gli scroccafusi, come altre specialità dolciarie marchigiane, presentano una spiccata ruralità: dal contado è stata tramandata la ricetta, che ancora oggi è seguita fedelmente.
Tipici del periodo di carnevale, sono presenti nell’intero territorio regionale. Ne esistono due diversi tipi, a seconda della modalità con cui vengono cotti: al forno e fritti, ma hanno sempre la forma di una grossa noce dalla grandezza variabile tra i 3 - 4 cm, di colore dorato.
Sono fatti con farina, uova, zucchero, olio, mistrà, alchermes o rum, miele, scorza grattugiata di limone.


Maritozzi
​
Qualcuno sostiene che il maritozzo non sia un prodotto autoctono delle Marche ma che sia stato importato dalla campagna laziale dove, nel secolo scorso, i braccianti marchigiani si recavano a lavorare per dissodare i campi. Si racconta che le donne lo stivavano nelle bisacce di pelle o di stoffa dei braccianti che, lontano da casa per tutto il giorno, dovevano portare con sé l'essenziale per nutrirsi.
In seguito, nelle campagne marchigiane, questi dolci venivano consumati durante la mietitura e la trebbiatura.
Sono panini dolci e soffici, dall’inebriante profumo di arancia candita, sono ottimi a colazione o a merenda.
Nella versione moderna sono fatti con farina, lievito di birra, zucchero, latte, miele, olio di semi, uova, semi di anice, vin cotto, scorza di arancia grattata, uva sultanina e, talvolta, farciti con panna o cioccolato.
​
​
Calcioni
​
Il calcione è un dolce frutto di una ricetta antica che unisce da nord a sud tutto il territorio marchigiano, sia pur con qualche sostanziale differenza, ma sempre con il formaggio e zucchero come ingredienti cardine.
I Calcioni possono essere serviti come secondo o come dolce per il caratteristico sapore dolce e leggermente piccante del formaggio.
Sono fatti con pasta sfoglia, farina di grano, uova, formaggio pecorino, zucchero e olio.


Crescia di Pasqua o Pizza la formaggio
​
E’ una particolare pizza a forma di fungo che solitamente si mangia nel periodo pasquale, in compagnia di saporiti salumi, formaggi e uova sode.
A causa della laboriosità della preparazione, le cresce di Pasqua venivano tradizionalmente fatte una volta l’anno, nei giorni immediatamente precedenti la Pasqua stessa. Si usava prepararne in grandi quantità in modo da poterle conservare e consumare anche per diverse settimane.
Diffusa su tutto il territorio regionale, ogni famiglia marchigiana ha la sua ricetta che viene tramandata di generazione in generazione.
Nella zona di Jesi è fatta con farina, zucchero, latte, olio di oliva o burro, uova, lievito di birra, limone grattugiato, sale e pepe, pecorino romano grattugiato, parmigiano reggiano grattugiato ed emmenthal.
Cicerchiata
​
Dolce tipico del periodo di carnevale, è diffuso su tutto il territorio regionale, particolarmente nell'anconetano.
Il nome di cicerchiata ha origine medievale e deriverebbe dalla cicerchia, il legume simile al pisello o al cece, descritto fra i primi piatti: pertanto il significato di "cicerchiata" sarebbe quello di "mucchio di cicerchie".
E’ fatta con farina, uova, burro (o olio di oliva), mistrà o cognac, zucchero, buccia grattugiata di limone, miele e, a piacere, buccia grattugiata di arancia, canditi, pinoli, mandorle tritate e abbrustolite.


Ciambellone
​
Il ciambellone, diffuso su tutto il territorio regionale, viene preparato quotidianamente dalle donne di casa ma rimane tuttora prescelto in occasione di feste familiari, battesimi e cresime.
Dolce marchigiano per eccellenza, da accompagnare con vino dolce, è stato definito "il dolce delle folle", perché viene consumato sempre in riunioni allegre e rumorose e a conclusione di pranzi e cene conviviali.
E’ fatto con farina, uova, zucchero, latte, strutto o burro, buccia di limone, lievito, bicarbonato.
Cavallucci
​
E' un dolce di origine contadina la cui ricetta si tramanda di generazione in generazione, soprattutto nell’entroterra di Ancona e Macerata.
I cavallucci sono chiamati così perché con la loro forma ricordano proprio il dorso e le zampe di un cavallo.
Sono dolci tipici del periodo invernale, in passato iniziavano a prepararli a San Martino, ossia quando si poteva trovare il vino nuovo, e la produzione continuava poi per tutta la stagione fredda.
Si tratta di un dolce molto sostanzioso perché racchiude al suo interno un mondo di sapori: sapa (o mosto cotto), fichi secchi, canditi, uvetta, cioccolato, noci, mandorle, arancia grattugiata, caffè e mollica di pane.


Castagnole
​
Dolci tipici del periodo di carnevale, vengono servite a fine pasto e trovano larga diffusione nell'intero territorio regionale ove assumono forme diverse: nella zona di Jesi hanno forma allungata, irregolare e contorta, di colore dorato mentre nell'ascolano le castagnole assumono una forma tondeggiante, di colore dorato, dal diametro di circa 8 - 10 cm.
Sono fatte con farina, uova, zucchero, liquore di anice, buccia di limone grattugiata, zucchero o miele, latte, olio di oliva ,strutto, sale, lievito in polvere.
​
​
Sughetti (polenta dolce con mosto e noci)
​
Si tratta di un dolce freddo ottenuto dal mosto bollito con l'aggiunta di farina di granoturco, noci e, a piacere, mandorle, pinoli e semi di zucca tritati.
La preparazione è simile a quella della polenta con la differenza che, anziché l'acqua, si usa il mosto non fermentato.
Anche la presentazione finale è la stessa: in piatti o vassoi dei quali i sughetti, una volta raffreddati e solidificati, vengono tagliati a rettangolo o rombo.
Di consistenza morbida, al palato rimangono leggermente dolci con un piacevole contrasto tra il sapore un po' acidulo del mosto e quello salato della frutta secca unita all'impasto.
Il colore dei sughetti è generalmente sul marrone ma può avere riflessi variabili tra il verde scuro e il violetto a seconda del tipo di mosto utilizzato.


Lonzino di fico (Presidio Slow Food)
​
Un tempo nelle campagne marchigiane, in particolare nella Vallesina, si coltivavano fichi in abbondanza e maturavano tutti insieme poco prima della vendemmia.
I contadini si davano un gran daffare per conservarli in mille modi e proprio così nacquero i lonzini dolci di fichi.
Legati con un filo di spago o di lana duravano tutto l’inverno, fino a primavera, accompagnando le merende dei ragazzini e i fine pasto delle feste.
Dal colore marrone dorato, compatti e solidi, sono ottimi tagliati a fettine; oggi sono confezionati anche sottovuoto perché si mantengano freschi tutto l’anno.
Il lonzino, tagliato a fettine non troppo sottili, alla vista si presenta come un impasto fine di fichi secchi macinati, con presenza di mandorle e noci.
Al naso si sente immediatamente la frutta matura con una nota avvolgente di anice. Al palato deve risultare morbido e armonico.
Se viene servito con la sapa (mosto di uva), risalta meglio la sua dolcezza complessiva con note di caramello.
VINI
Verdicchio dei Castelli di Jesi Riserva DOCG
Il Verdicchio nella versione Riserva esprime il grande potenziale che caratterizza e distingue uno dei più grandi vini bianchi italiani e non solo. La selezione delle uve avviene in vigna privilegiando le particelle che l'esperienza del viticoltore segnala come ottimali per completare una maturazione che nelle annate favorevoli arriva ai limiti di una vendemmia tardiva.
E’ottenuto in misura minima di 85% di vitigno Verdicchio e da altri vitigni a bacca bianca idonei alla coltivazione nella regione Marche nella misura massima del 15%.
Dalle percezioni olfattive delicatamente fruttate, tipiche del verdicchio giovane, già dal secondo anno, raggiunge la maturità, con note vegetali e minerali in continua evoluzione, anche oltre i dieci anni dalla vendemmia, mantenendo un colore tenue dalle ''nuances'' verdoline, luminosissimo a dispetto degli anni trascorsi, come si conviene ai grandi vini.
Si può abbinare a tutti i piatti della cucina marchigiana e ad alcuni piatti di pesce. Si accosta molto bene anche alle carni bianche con salsa, purchè non siano eccessivamente grasse, oppure ai funghi e ai formaggi.
E’ prodotto nella zona di Jesi.


Lacrima di Morro d'Alba DOC
Due sono le tipologie: Passito e Superiore. E’ un vino ottenuto da uve del vitigno Lacrima; possono essere presenti vitigni a bacca rossa non aromatici, in misura non superiore al 15% del totale.
La delicata e piacevole struttura del vino consente abbinamenti con primi piatti a salsa rossa e ragù, con antipasti di pesce azzurro marinato e con secondi piatti di carni bianche.
Il Lacrima, nel tipo amabile e frizzante, si rivela un ottimo vino da fine pasto.
La zona di produzione comprende un ristretto territorio in provincia di Ancona, a nord del fiume Esino; interessa i comuni di Morro d’Alba, Monte San Vito, San Marcello, Belvedere Ostrense, Ostra e Senigallia.
Rosso Conero DOCG
La selezione delle uve è affidata all’esperienza che indica le particelle della vigna in posizione migliore a cui segue una raccolta delle uve posticipata rispetto alla doc. Occorre infatti una maturazione ottimale con piena concentrazione degli zuccheri nell’acino, unita ad un ottimale corredo tannico e polifenolico.
Il vino deve essere ottenuto dai seguenti vitigni: Montepulciano (minimo 85%) e Sangiovese (massimo 15%).
E’ un vino di grande struttura da bere dopo due anni di invecchiamento maturato in botte grandi e piccole.
Si abbina a piatti a base di carni cotte alla brace, in particolare alla cacciagione arrosto al profumo di alloro. Si apprezza anche con i salumi, i pecorini e tutti i formaggi stagionati.
E prodotto nel nell’intero territorio comunale di Ancona, Offagna, Camerano, Sirolo, Numana e parte dei comuni di Castelfidardo e Osimo.


Vino di visciola
Il vino di visciola viene ottenuto da un frutto del tutto particolare, la visciola (una varietà di ciliegie selvatiche) che viene fatta fermentare con ottimo vino rosso strutturato della vendemmia precedente.
Nella provincia di Ancona viene prodotto nella zona di San Paolo di Jesi.
Colore rosso intenso, odore di visciola e frutti di bosco, buona gradazione alcolica, struttura e sensazioni dolci, sono le caratteristiche che lo rendono inconfondibile.
Molto utilizzato nei mesi invernali a fine pasto, è da utilizzare anche come vino da dessert unitamente alla pasticceria secca.
​
Vino cotto
Il Vino Cotto marchigiano non è vino e non è nemmeno, come molti pensano, un vino che viene cotto, bollito o riscaldato.
Si tratta di mosto cotto, fermentato e invecchiato (il vino, invece, si ottiene dalla fermentazione del mosto fresco); il suo processo di produzione nasce nell’antichità per ovviare al problema di ottenere una bevanda più corposa, più dolce, dal tasso alcolico più elevato e maggiormente adatta ad invecchiare del vino che si otteneva talvolta dalle uve di qualità più bassa provenienti da alcuni vitigni autoctoni marchigiani.
Si può consumare sia come un normale vino da tavola ma è più spesso utilizzato come vino da dessert e presenta una gradazione alcolica elevata.
Si distinguono un tipo secco ed uno dolce per la presenza di residuo zuccherino.
Colore variabile, dal rosso al rosso ambrato, odore intenso e caratteristico, al gusto si presenta di corpo, con percezione di caramello nella versione dolce.
​
